Abusi

Il male del secolo non solo i social networks. Il male del secolo è l'abuso di social networks compiuto da chi li ritiene solo un gran bel giochino e non ragiona sulle conseguenze.
Non parlo solo dei ragazzini-cretinini che compiono le loro bravate, si filmano col cellulare, postano i loro video in rete ed alla fine si fanno beccare dalla polizia postale che rintraccia il loro IP.
Non parlo neanche di quelli che minacciano, insultano e commentano il malo modo sotto la falsa copertura di un nick name, come se fosse uno scudo impermeabile.
In entrambi i casi è l'ingenuità che colpisce chi, comunque, compie una mala-azione ma sempre di mala-azione si tratta anche se non fosse su internet.
Parlo di quelli che scoprono o in giovanissima o in "tarda" età l'uso di facebook\twitter\YouTube e maltrattano se stesso come il prossimo loro, certi che dietro non ci sia niente di male.
Questo ragionamento, neanche a dirlo, non parte a casaccio... ma da una storia di vita vissuta che mi porta a domandarmi tra vent'anni cosa ne sarà di noi.
Mi spiego meglio.
Io compio un uso piuttosto disinvolto di internet. Ho un blog. Due blog. Twitter. In nessuno di questi casi compare il mio nome e cognome ma sono piuttosto certa che non sarebbe questo a fermare chiunque dovesse venirmi a cercare se di punto in bianco dovessi utilizzare questi mezzi di ingiuriare, diffamare, insultare, organizzare sette segrete o favorire attività crimiali. Esiste però una certa distinzione tra il non credersi irragiungibili ed il fare in modo che il mondo di piova in salotto senza il tuo consenso.
L'unica parte che compare di me sono le unghie e, devo dirlo, spesso me ne vergogno un po'. Non ho mai messo una mia foto, un mio dato sensibile, un codice fiscale, forse ho messo una data di nascita ma nulla che permetta "a chiunque" di cercare il mio nome in rete e trovarmi. O almeno, trovare questo. Poi è vero che mi trova sotto altre forme, ma si cerca di limitare il danno.
Mr Facebook ha posto in essere la tendenza del secolo: il rendersi rintracciabili in rete e farlo apposta. Un tempo esistevano i nicknames, soprannomi che ti rendevano riconoscibile ad una certa cerchia, ma non oltre. Erano un po' lo pseudonimo d'altri tempi. Chi lo conosceva di poteva rintracciare, altrimenti nulla. Oggi va di moda piazzare proprio nome e cognome in rete, possibilmente accompagnato da una bella fotografia. Uno schedario del genere umano autogestito e favorito dalle stesse vittime. Qualcosa di cui i nostri eredi, fra 200 anni rideranno ancora moltissimo.
Molti ritengono che sia sufficiente mettere una semplice spunta al posto giusto perchè la propria privacy sia tutelata e possa tornare tutto apposto in men che non si dica. La verità non è affatto questa. La verità è che, senza voler raccontare la sotira dei dati spediti, impacchettati e custoditi dal signore del male in server supersegreti tutelati dalla CIA, spesso e volentieri è molto più facile del previsto accedere a foto, informazioni, spostamenti di chiunque, senza essere degli hacker sgamatissimi. Quelli che pubblicano "in partenza per le vacanze!!" hanno mai pensato che chiunque leggendo quella informazione può capire che casa tua sarà vuota per 15 giorni e progettare di venirtela a svuotare ulteriormente? Eppure è partito tutto come una semplice condivisione di una bella esperienza, magari con tanto di autoscatto (no, non lo chiamerò mai selfie) davanti alla nave che ti porterà in sardegna e che assicurerà al ladro che sarai proprio ben lontano da casa. Sia mai che vi incontriate nel vicoletto sotto casa.
Ritorniamo al mio caso specifico. L'altro giorno qualcuno mi manda una foto. Era una foto che ritraeva me da bambina in mezzo ad altri brutti ceffi also know as "cugini". Sia chiaro, ovviamente, che chi me la ha mandata non è affatto uno dei ceffi in questione, ritratti come me nel prezioso scatto... ma semplicemente aveva fatto copia\incolla dal profilo facebook di una delle persone che 20 anni fa (o giù di li) deve aver scattato la foto o quantomeno era presente all'evento. Si trattava di una di quelle orribili foto in posa a cui costringono tutti i bambini di questo mondo nelle occasioni più impensate in cui sono, per una ragione o per l'altra, vestiti bene. Nel caso specifico eravamo ad un matrimonio... i maschietti erano soffocati da imbarazzanti cravattini scenografici e pantaloncini corti modello piccola peste, le femminucce con le loro ballerine ed il vestitino a ruota larga. A 20 anni di distanza si è sposata una di quelle bimbe... ed ecco rispuntare fuori lo scatto. Neanche a dirlo la persona che ha postato la foto non è neanche immortalata nello scatto. Neanche a dirlo la persona che ha ritrovato lo scatto non è "amica" su facebook di quella che l'ha postata.
Sembra incredibile a dirsi ma 20 anni fa gli smartphone non esistevano. Spesso tra chi legge c'è qualcuno a cui la cosa sfugge, quindi lo specificherò per maggior chiarezza. 20 anni fa esistevano a malapena i cellulari e, no, non facevano le foto. 20 anni fa ignoravamo cosa significassero internet, ADSL, 3G, Wi-fi. Ma neanche utilizzavamo termini come fotocamera, digitale, USB. Le foto si facevano semplicemente con una macchina fotografica e poi si pregava moltissimo. Si pregava che i rullini si chiudessero bene e la macchina fotografica non impazzisse. Si pregava che la foto fosse venuta a fuoco. Di non aver tenuto gli occhi chiusi durante lo scatto. Che il rullino non si perdesse magicamente e che il fotografo non combinasse casini tali da rendere inutilizzabile tutto il lavoro. Una volta fatto tutto ciò, si ottevevano scatolate e scatolate di fotografie, metà delle quali inguardabili perchè sfocate \ scattate a caso \ non centrate \ con gli occhi rossi \ con gli occhi chiusi \ perchè con strane espressioni, da prendere e chiudere nell'armadio perchè nessun essere al mondo dovebbe avere così tante foto appese al muro. I più ordinati le raccoglievano in pratici album fotografici con i quali annoiare gli ospiti di tanto in tanto e farsi così promettere che non sarebbero più tornati a cena da voi.
Quella foto, LA foto, è figlia di tutta questa politica di cose. Chi l'ha postata su facebook, oltre aver fatto tutto ciò 20 anni fa, è tornata oggi a cercarla, rispolverarla, constatare che ormai è ingiallita, scannerizzarla e piazzarla on-line. Tutto questo lavoro, convinta, che fosse proprio un bel gesto piazzare su facebook uno scatto che non le apparteneva affatto senza che nessuno glielo avesse mai chiesto.
Io, che dell'anonimato in rete ne ho fatto una scelta di vita per ragioni che è assolutamente inutile che vi stia a spiegare giacchè sarebbero fatti miei, posso davvero tollerare che a zonzo per la rete ci sia una immagine della mia infanzia, roba di cui sono gelosissima, che specifichi esattamente quali siano i miei rapporti di parentela, al di là del fatto che io degli stessi vada o meno orgogliosa, e che sia condivisa modello ragnatela tra amici\parenti\conoscenti del titolare del profilo facebook? Figuriamoci!
Posso però, io, andare dalla persona che ha compiuto la condivisione e chiederle gentilmente chi glielo ha chiesto e perchè non mi ha chiesto se ero d'accordo? Arri-figuriamoci! Perchè a quel punto passerei io, e dico io, per la cattiva che "non condivide il momento di gioia di - cugina - che si è sposata". A parte il dettaglio che la gioia per - cugina - credo di averlo già dimostrato al momento della lista nozze, al momento del taglio della cravatta, dopo i primi 3\4 d'ora di cerimonia ed alla 15° ora del pranzo. L'ho dimostrato quando ho salutato, abbracciato e baciato parenti di cui ignoravo l'esistenza ed anche quando ci siamo salutati con incauto ottimismo con un questa volta non lasciamo passare tutto questo tempo, eh?! Aggiungo, e qui chiudo, anche quando nonna è partita con il tour del fatidico ma te quand'è che ti sposi?

Commenti